Volgarmente viene chiamata cipolla, è una rotondità dolente
che si sviluppa alla base dell’alluce, dovuta a una deviazione del primo
raggio del piede. La deformazione del “ditone”, l’alluce
valgo appunto, ne provoca lo spostamento verso l’esterno e, nelle fasi
più avanzate, la sovrapposizione (o la sottoposizione) alle altre dita.
Questa deformità è senza dubbio la più frequente fra quelle
che possono colpire il piede e, a differenza di ciò che comunemente
si pensa, non riguarda solo l’articolazione che muove l’alluce,
ma è la conseguenza di squilibri meccanici all’interno di tutto
il piede. Quella brutta cipolla rossa e tumefatta che si nota alla base dell’alluce
non è un’escrescenza o un callo osseo, ma l’articolazione
del dito stesso che sporge in modo anomalo a causa dello spostamento del metatarso,
che devia e si angola scorrettamente con la falange, ossia l’osso dell’alluce:
più l’angolo è stretto, più l’articolazione
sporge, si arrossa e fa male.
Ne parliamo con il professor Carlo Romanò, specialista ortopedico presso
l’Istituto Gaetano Pini di Milano: “Il problema può intervenire
a tutte le età, a 12 come a 50 anni, anche se la fascia più interessata è quella
fra i 40 e i 60. Il sesso femminile è geneticamente più colpito,
in proporzione di 1 a 10 rispetto a quello maschile: si ritiene che, in Italia,
circa il 40 per cento della popolazione femminile soffra di questo problema.”
Ma perché compare questa maledetta cipolla che provoca forte dolore
(nel 70 per cento dei casi) e, anche, duroni, infiammazioni e parecchi altri
guai? La causa principale si addebita a fattori genetici: il 60 per cento di
chi è affetto dalla deformazione ha un parente con lo stesso problema;
mentre un piede piatto oppure fortemente cavo facilitano la progressione del
disturbo; sotto accusa possono essere anche dimensioni non consuete del primo
metatarso (più lungo o più corto della media), o la sua deviazione
verso l’esterno del piede; una contrattura del tendine di Achille (ossia
il tendine del muscolo del polpaccio che si inserisce nel calcagno); oppure
una camminata scorretta che carica, per esempio, il peso sull’avanpiede.
E le scarpe femminili, sempre sul banco degli accusati? “In realtà”,
prosegue il professor Romanò, “anche se il problema può essere
scatenato o ulteriormente aggravato da calzature inadeguate, con il tacco troppo
alto e la punta eccessivamente stretta, come abbiamo visto le più moderne
teorie addebitano l’alluce valgo soprattutto a un difetto costituzionale:
pensiamo che, fra tutte le popolazioni del mondo, i più colpiti da questa
deformità sono gli aborigeni australiani le cui donne, di sicuro, non
sono solite indossare scarpe molto trendy! È tuttavia vero che, camminando
scalzi, spesso il problema rimane solo estetico e non causa nessun disturbo,
mentre è l’uso delle calzature, soprattutto di quelle con la punta
stretta, che provoca per sfregamento una infiammazione, la “borsite metatarsale”,
che determina il dolore e, a volte, anche una infezione locale, talora con
conseguenze anche molto spiacevoli (artriti, osteomieliti). Quindi, se è vero
che le calzature non sono all’origine della deformità propria
dell’alluce valgo, l’uso delle scarpe inadeguate è senz’altro
un fattore determinante nel trasformare questa condizione in una vera e propria
malattia dolorosa”.
Ci sono diversi stadi
In genere gli specialisti distinguono tre gradi del problema.
Lieve: la deformazione è contenuta ma può provocare dolore nella
zona, che appare gonfia.
Medio: la cipolla diventa più evidente e l’alluce talvolta esercita
una pressione contro il secondo dito, compiendo anche una rotazione che porta
l’unghia a inclinarsi dalla parte opposta rispetto alle altre dita.
Grave: la deviazione laterale dell’alluce spesso fa sì che il
dito vada sovrapporsi o sottoporsi alle altre dita. Questo comporta che parte
della pianta del piede (appunto quella che corrisponde all’articolazione
della prima falange) perde la capacità funzionale, che è quella
di sopportare il peso del corpo, con conseguente sovraccarico di lavoro della
parte restante dell’avanpiede e la formazione di dolorosi calli.
Un problema
da non rimandare
Se questo disturbo vi tormenta, è inutile continuare a rimandare. Dovete
prendere un appuntamento con un ortopedico che esaminerà, oltre al piede,
anche il modo in cui camminate e appoggiate l’estremità a terra.
In genere si effettua, poi, una radiografia del piede; in alcuni casi potranno
essere prescritti una risonanza magnetica o altri accertamenti specifici.
Terminati gli accertamenti necessari si pone, spesso, il grande problema: operare
o no? A questo proposito, ecco l’opinione del professor Romanò:
- Nei casi lievi si attua, di solito, una terapia medica e ortopedica. Si cercherà,
quindi, di correggere la postura e di migliorare il modo di camminare. Possono
essere suggerite calzature in cuoio morbido con la punta arrotondata o quadrata,
una suoletta morbida o, se necessario, un plantare personalizzato, l’uso
di un tacco di 3 - 5 centimetri, che permetta al piede di trasferire il carico
alla parte centrale, sollevando dal lavoro eccessivo il tallone e il metatarso.
Inoltre, chi ha qualche chilo di troppo farà bene a… rimettersi
in linea. C’è chi prova sollievo grazie a particolari divaricatori.
Ugualmente le borsiti iniziali possono essere trattate con terapie mediche
o fisiche locali (come impacchi antinfiammatori o ultrasuoni subacquei).
- I casi di alluce valgo di grado medio, soprattutto se cominciano
a esserci dolore o rigidità o se vi è la tendenza ad aggravarsi progressivamente,
dovrebbero essere operati. I risultati sono nettamente migliori quando si opera
negli stadi di deformità di grado medio rispetto a quella di grado elevato;
senza contare che l’intervento è più veloce e il rischio
di recidive o di rigidità minore.
- I casi di alluce valgo grave devono ugualmente essere operati nella
maggioranza dei casi, perché sono spesso causa di dolore e limitazione della funzione
del piede. Bisogna tuttavia ricordare che, nei casi più avanzati, spesso
si richiedono interventi più complessi e il rischio di recidive e di
rigidità residua dell’alluce è maggiore.
* Come sempre, comunque, la decisione finale sul momento in cui operare
spetterà al
malato, dopo essersi consultato attentamente con l’ortopedico di fiducia.
Specialisti diversi, di indubbia competenza e professionalità, possono
avere opinioni e suggerimenti diversi. Il consiglio finale valido per tutti?
Quello di effettuare la visita senza aspettare di arrivare ai gradi più avanzati
della malattia, in modo che la decisione possa essere una vera scelta e non,
ormai, una necessità !
L’intervento: tutte le tecniche più nuove
Oggi le tecniche per la correzione dell’alluce valgo sono veramente tante
e orientarsi non è semplice. Ne abbiamo parlato con Fabio Lodispoto,
ortopedico e specialista in Medicina dello sport a Roma.
“
Purtroppo ancor oggi sono in uso tecniche obsolete che andrebbero assolutamente
abbandonate”, osserva il dottor Lodispoto, “perché non ripristinano
il corretto asse fra metatarso e falange e non conservano l’articolazione.
Tra quelle che, a mio parere, sono da archiviare (ma non sono le sole) ci sono
la semplice esostectomia, vale a dire la asportazione della cipolla con un
effetto puramente estetico, oppure l’asportazione della base della falange
(tecnica Keller) che lascia il “ditone” più corto di circa
un centimetro, con conseguenze negative e anche dolorose. Tutte queste tecniche
in uso in passato e, purtroppo, ancora oggi largamente utilizzate, hanno dato
all’intervento per l’alluce valgo la fama (meritata!) di essere
doloroso e di dare luogo a frequenti recidive: infatti, in passato la percentuale
di insuccesso era del 40 per cento”.
Parliamo adesso delle tecniche che…funzionano.
“
E ci sono! Oggi si è compreso che il vero problema non è tanto
quello di rimuovere la cipolla, ma di correggere in maniera definitiva il metatarso,
che va riportato in posizione anatomica; in questo modo si otterrà anche
il ripristino della normale distribuzione del carico sull’avanpiede.
Si interviene sui tessuti molli (tendini, capsula e legamenti) praticando,
poi, la osteotomia del primo osso metatarsale, tagliandolo in maniera idonea
a rimediare alla deformità; per farlo, esistono attualmente tecniche
diverse (di Austin, di Scarf, Pdo, ossia Percutaneus distal osteotomy, attualmente
la più breve e meno invasiva ma suggerita solo nei giovani con un problema
lieve). Tutte queste nuove metodiche sono altamente rispettose dell’anatomia
conservativa e offrono risultati eccellenti in un’altissima percentuale
di casi, con un margine di recidiva prossimo allo zero”.
Esiste una prevenzione valida per questo problema?
“
A mio parere non esiste, purtroppo, una forma di prevenzione valida. Io consiglio
di intervenire non appena si evidenzia il disturbo, anche perché un
alluce deviato va a creare problemi a cascata anche sulle altre dita del piede
e la malattia diventa più complessa; il rischio, fra l’altro, è anche
quello di andare incontro a complicanze connesse, come il neuroma di Morton”.
Come avviene l’operazione “giusta”?
“
Nelle moderne tecniche il metatarso viene segato, spostato e rifissato nella
posizione corretta grazie a particolari viti e chiodi. Questi possono essere
in titanio, materiale che ha una resistenza notevole (quindi consente di usare
dispositivi più piccoli) e non dà mai allergie, però non
si riassorbe. Oppure si potranno usare dispositivi in acido polilattico, che
hanno una sezione maggiore, una resistenza minore e, in qualche raro caso,
possono dare intolleranza (e dovranno essere rimossi); però sono destinati
a riassorbirsi nel giro di qualche mese, lasciando l’alluce nella posizione
desiderata e senza mai dare luogo a recidive”.
A quale tipo di anestesia si ricorre?
“
Dipende della scelta dell’anestesista, d’intesa con il paziente:
di solito viene effettuata l’anestesia periferica, bloccando la sensibilità della
sola gamba”
E il periodo di riabilitazione?
“
Si può tornare a casa con le proprie gambe dopo 5 o 6 ore se l’anestesia è locale
e non ci sono state complicanze. Il piede operato viene fasciato e protetto
da una scarpa post operatoria (detta Baruk). Il grande vantaggio delle tecniche
moderne è che non si rende necessaria alcuna riabilitazione. Dopo 15
giorni vengono tolti i punti, dopo 25 giorni si può riprendere guidare
l’auto e dopo 30 tornare in ufficio (45 giorni se si fanno lavori pesanti
quali cassiera, barbiere, barista, chirurgo). Dopo 40 giorni si può tornare
in palestra, mentre ce ne vorranno 60 per riprendere a correre, a fare danza
o altre attività sportive”.
Paola Tiscornia