Discriminazioni di carriera, licenziamenti ingiustificati, promozioni mancate, molestie sessuali, mobbing, ostacoli di ogni tipo al rientro del congedo per maternità. Tanto che, ogni anno, solo in Lombardia sono ben 7500 le lavoratrici costrette a dimettersi entro i 12 mesi dalla nascita di un figlio.
Sono queste le problematiche con cui si trova quotidianamente a fare i conti la Consigliera di parità, un organismo istituito, almeno sulla carta, nel lontano 1986 e perfezionato dalla legge 125 del 1991. Solamente in tempi più recenti, però, tramite il Dlgs 196/2000, questo figura, presente sia a livello nazionale, sia in ogni regione e in ogni singola provincia, è stata dotata degli strumenti operativi necessari per poter svolgere un ruolo davvero significativo nei confronti del lavoro femminile e prendere iniziative concrete.
Quali? Che cosa può fare per tutelare la donna contro le discriminazione poste un essere nel mondo del lavoro? “La Consigliera di parità”, spiega l’avvocato milanese Luisella Nicosia, specializzata, in tematiche relative al diritto del lavoro, “ha il compito di svolgere funzioni di promozione e controllo sulla attuazione concreta dei principi di eguaglianza e pari opportunità, esclusivamente per ciò che attiene il mercato del lavoro. In effetti, oltre a fare riferimento ai principi costituzionali di egualianza fra i sessi e allo Statuto dei lavoratori, oggi questa figura applica anche i due decreti legislativi 215 e 216/2003 attuativi di due direttive europee, appunto sulla parità di trattamento fra persone al di là del sesso di appartenenza”.
Ma in quali situazioni potremo rivolgerci alla Consigliera di parità? “Possiamo richiedere il suo intervento”, precisa l’avvocato Nicosia, “tutte le volte che viene posta in atto sul luogo di lavoro (pubblico o privato) una discriminazione diretta o indiretta a causa del nostro sesso. Si può avere la discriminazione diretta quando, a parità di situazione (stesso titolo di studio, stessa anzianità ed esperienza) la lavoratrice, di fatto, viene trattata in modo diverso: per esempio, per lo svolgimento di un lavoro del medesimo impegno le viene riconosciuto un compenso più basso rispetto al collega di sesso maschile. Ma la discriminazione nei confronti della donna che lavora può essere anche indiretta, ed è il fenomeno più diffuso a livello collettivo: annunci di lavoro discriminatori, condizioni di lavoro particolarmente svantaggiose per chi è di sesso femminile”.
C’è una distinzione importante fra Consigliera di parità regionale provinciale. Ci si rivolge alla regionale in caso di discriminazione collettiva (esempio comportamenti discriminatori consolidati, prassi aziendali scorrette) o quando si voglia mantenere l’anonimato. La Consigliera regionale può attivare autonomamente indagini tramite l’Ispettorato del Lavoro, convocare l’azienda e promuovere un’istruttoria per presunta discriminazione nei confronti del datore di lavoro senza rivelare l’autore della segnalazione. Inoltre, si avvale anche del rapporto sul personale che le aziende con più di 100 dipendenti sono tenute per legge a inviarle ogni due anni, contenente i dati più significativi delle politiche aziendali.
Le discriminazioni individuali vanno, invece, segnalate alla Consigliera provinciale del proprio territorio che, per agire legalmente, ha bisogno comunque della delega della lavoratrice.
Le Consigliere sono pubblici ufficiali e hanno l’obbligo di intervenire sui casi segnalati sempre che ravvisino nel caso esposto una presunta discriminazione di genere, sia diretta sia indiretta. L’istituto è gratuito. Le Consigliere possono avvalersi di avvocati per promuovere eventuali ricorsi dinanzi al Giudice del lavoro o al Tar, sostenendo le spese legali tramite l’apposito fondo ministeriale.
La prima mossa da fare se si pensa di essere discriminate sarà quella di informare della situazione la Consigliera di parità. Questa si attiverà per contattare il datore di lavoro e, se lo ritiene, anche l’Ispettorato del Lavoro. Potrà avvalersi anche dell’istituto della conciliazione, convocando l’azienda e chiedendo di porre fine al comportamento discriminatorio. Questo comporta anche la rimozione di tutti gli effetti negativi pregressi derivati dalla discriminazione e l’introduzione di una azione positiva per le dipendenti, onde evitare possibili ricadute.


Intervista Consigliera parità Regione Lombardia
Qual è la reazione delle aziende di fronte all’intervento di questa paladina dei diritti delle lavoratrici? A rispondere è Bianca Giorcelli, consigliera regionale di parità della Lombardia. “Sino a oggi, in genere, la risposta delle imprese è stata sollecita e improntata a correttezza e spirito di collaborazione per cui, di fatto, il ricorso al giudice è stato necessario solo in pochissimi casi. Le aziende con più di 100 dipendenti ogni due anni ci devono aggiornare circa la composizione del proprio organico e, in mancanza, subiscono un richiamo (e poi anche una sanzione) da parte dell’Ispettorato del Lavoro. Su 3800 aziende, 300 hanno dovuto essere richiamate”.
Di fatto, questa figura istituzionale è ancora in rodaggio, essendo partita operativamente solo dal 2002. Come vede, una volta raggiunto l’assetto definitivo, il ruolo futuro della Consigliera di parità?
“ Ci sono due grandi ambiti in cui potrà essere molto incisiva. Uno è la tutela della lavoratrice nei luoghi di lavoro in caso di discriminazione, con funzioni di repressione. L’altro, altrettanto importante, è il ruolo di prevenzione. Favorire, cioè, la cultura della parità fra i due sessi in ambito lavorativo ed essere presenti in tutti i momenti chiave in cui vengono prese le decisioni sulle politiche attive. Oltre a contribuire a eliminare gli ostacoli che ancora limitano l’ingresso femminile nel mondo del lavoro. Per esempio, adesso stiamo lavorando a uno studio sulle professioni ‘da donna’: abbiamo notato che esiste, già a livello degli istituti superiori, una segregazione formativa. Nel settore edile c’è tutta una serie di attività, per esempio il responsabile della sicurezza, che non richiedono in alcun modo forza fisica e che potrebbero tranquillamente essere svolte da donne, il che non è. Pensiamo che si tratti di un limite di tipo culturale tutto italiano, posto che negli altri Paesi d’Europa questo non avviene. Poi ci sono altri settori dove la presenza femminile, una volta assente, sta crescendo e, speriamo anche grazie a supporti come il nostro, potrebbe diventare sempre più incisiva: la guida dei mezzi pubblici, per esempio, o il comparto dell’autotrasporto. Certo, si tratta di settori non ancora sufficientemente organizzati in funzione dell’inserimento delle donne. Ma diventano tanto più importanti quanto più si vanno chiudendo i campi tradizionalmente femminili. Basta pensare che nelle liste di mobilità più del cinquanta per cento sono donne oltre i quarant’anni e, in genere, svolgono mansioni di segretariato”.
Quali altri problematiche vi vedono più attive?
“ Stiamo lavorando perché a livello di istituzioni pubbliche venga attivato ogni possibile nuovo strumento che permetta alla lavoratrice di conciliare l’impegno fuori casa con le incombenze della famiglia. Quindi, orario flessibile, telelavoro, banca del tempo, agevolazioni particolari per le donne che vogliano frequentare corsi di formazione e riqualificazione. Cerchiamo anche di favorire quelle aziende che, in base a quanto previsto dalla legge 53/2000, presentino progetti in questo senso”.
Qual è il problema che oggi avvertite di più?
“ Potremmo fare veramente molto, ma dovremmo essere più conosciute. Senza contare che c’è abbastanza resistenza da parte delle aziende pubbliche e anche delle donne stesse, che non hanno ancora ben capito il concetto di discriminazione di genere e, magari, vengono da noi a lamentare che ‘la collega ha avuto la promozione e io no’. Non è questo il nodo da sciogliere. In ogni modo, la volontà e la voglia non ci mancano: potenzieremo sempre di più il nostro ruolo di promozione e di consulenza”.


Maternità nel mirino
Fiocco azzurro, fiocco rosa. In famiglia si festeggia. In azienda, un po’ meno. Un’indagine di recente condotta dalla Camera di Commercio di Milano su oltre 1500 aziende italiane ha evidenziato la convinzione della maggioranza delle imprese secondo cui dopo la nascita di un figlio, le dipendenti diventano meno disponibili e intraprendenti. Anche se imprenditori e direttori del personale rilevano anche come sia tutto il contesto sociale a penalizzare le donne, per via dell’insufficienza dei servizi che agevolano la conciliazione fra famiglia e lavoro. Tanto che il presidente della Camera di Commercio di Milano Carlo Sangalli ha lanciato adesso un appello per “superare alcuni pregiudizi ancora presenti nel mondo del lavoro e creare una città più a misura di famiglia”.
Una situazione che trova riscontro nei casi approdati alla scrivania della Consigliera di parità della Regione Lombardia. Nel corso del 2004 l’ufficio ha preso in esame 18 segnalazioni di presunta discriminazione di genere, cui si vanno ad aggiungere molteplici richieste di consulenza da parte di singole lavoratrici che si sono rivolte alla Consigliera per specifiche informazioni sui proprio diritti, in particolare sulla legge di tutela della maternità.
Per quanto riguarda i casi affrontati nel 2004, delle 18 aziende prese in esame, 3 appartengono al settore pubblico, le restanti 15 a quello privato. La maggior parte delle segnalazioni ha riguardato aziende con più di 100 dipendenti. Per il tipo di discriminazione lamentata, 5 riguardano presunte discriminazioni avvenute nel periodo di maternità (rientro dalla maternità, congedi obbligatori o facoltativi), 3 discriminazioni di carriera, 2 licenziamenti ingiustificati, 4 presunte molestie sessuali o mobbing e, infine, le ultime 4 la mancata concessione del part time al rientro dalla maternità. E gli esiti? Due segnalazioni sono state conciliate, 12 sono in attesa di definizione, 1 archiviata, 3 sono sfociate in un ricorso legale.
I commenti? “La maternità”, rivela Alessandra Bassan, Consigliera di parità supplente della Regione Lombardia, “oltre a incidere negativamente sulla progressione di carriera, è anche causa molto spesso di licenziamento e può creare casi di molestie o mobbing. Inoltre, abbiamo rilevato che il Comitato di Pari Opportunità esiste solo in una delle18 aziende interessate e questo è tanto più negativo soprattutto se si considera che in molte di questa imprese la sua costituzione è prevista per contratto”.


Gli indirizzi
Consigliera nazionale di parità: tel. 06.46832562 - 06.46832629; e-mail: consiglieranazionaleparita@welfare.gov.it
Consigliere regionali:
Abruzzo: tel. 0857.672131; e-mail: uffconsparita@regione.abruzzo.it
Basilicata: tel. 0971.666144
Calabria: tel. 0961.772890; e-mail: consregparita.faga@regcal.it
Campania: tel. 081.7969229-7969676; e-mail: consparcampania@virgilio.it
Emilia Romagna: tel. 051.283562-283953-283205; e-mail: consparita@regione.emilia-romagna.it
Friuli Venezia Giulia: tel. 040.3775770 ; e-mail: ari.cons.par@regione.fvg.it
Lazio: tel. 06.51685129; e-mail consiglieraparita@regione.lazio.it
Liguria: tel. 010.5484146;e-mail: mariateresa.marras@regione.liguria.it
Lombardia: tel. 02.67651912; e- mail: bianca_giorcelli@regione.lombardia.it
Marche: via Ruggeri 3, 60100 Ancona
Molise: fax, 0874.429569; e-mail: consregparita@regione.molise.it
Piemonte: tel. 011.4323821, e-mail: anna.mantini@regione.piemonte.it
Puglia: tel. 080.5406451; e-mail consiglieraparita@regione.puglia.it
Sardegna: Consigliera di parità della provincia di Oristano tel. 0783.793237;e-mail: pim.provor@tin.it
Sicilia: Consigliera di parità della provincia di Palermo tel. 091.6628587; Consigliera della provincia di Siracusa tel. 0931.709330; e-mail pariopportunitasiracusa@yahoo.it
Toscana: tel. 055.4382449-282066; e-mail: consiglieraparita@mail.regione.toscana.it
Umbria: tel. 075.5045850; e-mail consparita@regione.umbria.it
Veneto: tel. 041. 2919381; e-mail: consiglieraparita@venetolavoro.it
Bolzano: tel. 0471.992752 - 992740
Trento: tel. 0461.230898 – 496256; e-mail cppo@provincia.tn.it


Paola Tiscornia